venerdì 11 settembre 2015

IO, NOI… E LEI!

Cos'è la sfortuna?

Versione 1 - Quella cosa che ti impedisce di ottenere un risultato a tanto così dal traguardo.
Versione 2 – Quella cosa che ti giustifica quando non hai fatto abbastanza per ottenere ciò che vuoi...

Esiste davvero?
C'è chi pensa che tutta la propria vita è andata in una determinata direzione a causa di un congiungimento astrale che ne ha penalizzato i risultati nello sport.
C'è chi ringrazia divinità varie per averli ottenuti.
Oppure c'è chi ha paura di perdere quello che ha, o che crede di avere, e si aggrappa con tutte le sue forze a piccoli avvenimenti che gli accadono intorno, ai quali vengono attribuiti significati mistici che ne condizionano le azioni.
Per poi giustificarsi dicendo che ha fatto bene a non rischiare...
Perché quel gatto nero che gli ha attraversato la strada poteva fargli fare la scelta peggiore della sua vita.
O magari oggi sarebbe presidente del mondo.
Ma quante volte realmente crediamo alla buona o cattiva sorte?
E quante volte invece, pur credenti convinti, decidiamo di passarci sopra perché la nostra forza di volontà è più forte?
Quasi mai per il secondo caso.
Osserviamo alla televisione chi reputiamo ce l'abbia fatta (dipende dai canoni con cui usiamo la parola “successo”), e ci giustifichiamo dicendo: “ Beh ma quello conosce il produttore di.. o il parrucchiere della... così sono capaci tutti”.
Certo, è solo nato nel posto giusto, con le conoscenze giuste, il papà coi soldi giusti..
E poi diciamocelo: la meritocrazia è morta.
Quanto crediamo davvero a queste scuse?
Oppure quanto tutte queste parole fanno parte del nostro sistema immunitario, che attiva i globuli bianchi e li indirizza ad attaccare quell'epidemia che si sta sviluppando nel nostro cervello chiamata: voglia di rischiare!?
La paura è il vero sinonimo della parola sfiga...
O forse Krishna ce l'ha davvero con noi perché in una vita passata eravamo gatti neri e gli abbiamo attraversato la strada.
Poi c'è la sfortuna passiva...
Non dobbiamo essere troppo pessimisti con noi stessi e non dobbiamo esserlo sempre.
Ci sono momenti in cui dai tutto te stesso, in cui credi in ciò che stai facendo e sai che ce la puoi fare, adori il risultato che stai ottenendo e ti entusiasmi a portarlo a termine.
Poi arrivi secondo...
E ti chiedi se non era meglio starsene seduto sul divano a mangiare patatine, avresti risparmiato tante energie per un risultato che è il peggiore che si possa chiedere: essere il primo tra gli sconfitti.
E in quelle situazioni vengono messe in discussione situazioni, competenze, talenti, sacrifici...
Ci si crede sognatori perché abbiamo sperato di ottenere qualcosa e non ci siamo riusciti, quindi stiamo scegliendo la strada sbagliata; noi non ne siamo capaci.
In alternativa, il bicchiere mezzo pieno dice: “Beh insomma, secondo è un ottimo risultato, il vincitore è stato più fortunato di me”.
Bisogna credere a entrambe le facce, perché anche Charlie Caplin è arrivato terzo a una gara per sosia di Charlie Chaplin.
L'essenziale è dare sempre il meglio di noi per tutto ciò che amiamo fare...
E sicuramente arriveremo sul gradino più alto del podio della categoria "faccela da solo".
Purtroppo però saremo sempre legati al giudizio di altre persone, che nel bene e nel male avranno canoni e gusti differenti ai nostri e ne determineranno successo o dipartita.
Quindi in fondo: e se fossero gli altri la nostra malasorte?



Iven


martedì 26 maggio 2015

SORRISO DI MARMO...

Coscienza di se stessi.
È una frase che in realtà non vuol dire niente...
Coscienza di ciò che facciamo e riceviamo per quello che facciamo...
Vuol dire ancora meno.
Chiusi in una cesta di vimini, con la luce che penetra tra gli spazi degli intrecci, viviamo un esistenza immobile e inavvicinabile da anima viva.
Autoproclamandoci padroni del nostro spazio, crediamo che tutto ci sia dovuto e ciò che facciamo sia il massimo possibile per un essere umano.
Poi magari esci...
E ti accorgi che quello che hai fatto finora è nulla in confronto alla grandezza del mondo.
Allora magari la smetti di lamentarti per privilegi che ti sei autoimposto, rendendoti conto che c'è chi considera come il minimo indispensabile ciò che tu nemmeno hai mai provato a fare.
Dovrebbe far pensare vero?!?
No!
Trovarsi seduto ad una scrivania per anni, a chiedere e ancora chiedere soldi o privilegi per alleviare i dolori lombari causati dalla fatica di stare seduto e i calli alle dita dovuti alla continua pressione sulle lettere di una tastiera.
Responsabilità si chiamano...
Quelle che giustificano i patrimoni a fronte del sudore lasciato ad altri, per cifre di indiscutibile corsa al ribasso.
Il che è anche giustificabile...
Se le responsabilità ci fossero davvero.
Il meccanismo “piramidabilistico” inventato dalla società dei barili scaricati dice che il responsabile gestisce la situazione delegando ad altri indefiniti subalterni i compiti dei quali però saranno assoluti e devoti padroni sia nelle critiche che nei.. (no solo nelle critiche).
Generalmente il povero gregario, anello ultimo della catena impiegatizio/alimentare non ha appigli nel mare in cui dovrà nuotare per non affondare; al solo scopo di evitare parole o richiami dai superiori, i famosi portatori sani di dolori lombari.
Nessuna gratifica, nessun elogio o stretta di mano, perché il compito che stai svolgendo è quello per cui sei miseramente pagato, sei li per alleviare le fatiche di chi di mestiere ti deve tener d'occhio.
Ma le lamentele non giungono mai da chi ha la mente e il corpo attivo nel processo di creazione lavorativa.
Il rumore dei disagi nasce da chi viene incaricato di alzare una penna una tantum e non è mai stato abituato a farlo.
Uscire dal proprio impalpabile e redditizio seminato provoca la classica reazione a catena di richieste.
Nel mondo esistono necessità di svariato genere che portano quindi le persone a svolgere attività innumerevoli e completamente diverse tra loro, non rendendo più importante l'una o l'altra, a fronte di un esigenza comune che si chiama progresso.
Indi per cui ci saranno persone che arriveranno a casa sporche di fango, oppure manager semi/obesotti, abbacchiati all'idea dell'ennesima cena dove sfoggiare un sorriso carico di richieste di fondi.
Eppure entrambi con un utilità oggettiva che viene rimarcata in modo abbondantemente diverso da una società che ritiene fondamentale il continuo scambio di quattrini rispetto alla costruzione fisica di un muro, uno dei quattro dove tutti noi viviamo.
La sottolineatura va posta però, proprio su quelle persone che alla sera, tornano a casa sporche solo della loro voglia di avere di più, e sudate solo del proprio egocentrismo lavorativo.
Pronte, pochi istanti dopo l'apertura della porta, a lamentarsi di quanto anche oggi hanno salvato il mondo per quei pochi spiccioli e il cellulare aziendale, dimenticandosi talvolta che lo splendido marmo che hanno in bagno sulle mensole è stato estratto in miniera da qualcuno che quello stesso arredamento non se lo può permettere.
Ma che forse domani sarà più felice perché dovrà fare molto meno fatica, in fondo lui dovrà estrarre marmo da una cava.
Ma ci saranno quei poveri responsabili che domani si dovranno rimboccare maniche: perché i barili non si scaricano da soli.



Iven